STORIA

Questa varietà a bacca bianca originaria del Piacentino è descritta per la prima volta agli inizi dell’Ottocento, quando il Bramieri la cita usando il termine Altruga – ripreso nel Bollettino Ampelografico del Ministero dell’Agricoltura del 1881 – che stava a significare “altra uva” rispetto a quelle più importanti con le quali era assemblata.

L’odierna dizione Ottrugo è utilizzata per la prima volta da Toni (1927), che annovera la varictà tra i principalissimi vitigni bianchi da vino della provincia di Piacenza. Molon (r909) gli riconosce similitudine con il vitigno chiamato Ortrugo de Rovescala dei dintorni di Stradella, nell’Oltrepò Pavese, ma anche con il Barbesino di Bobbio, che in realtà si è poi scoperto essere una varietà diversa. Recuperato negli anni Settanta dall’azienda Mossi, in Val Tidone – è iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 1970 – ha conosciuto un allargamento deciso della coltivazione in tutta la fascia collinare piacentina fino agli anni Novanta, a partire dai quali si è registrato un progressivo restringimento della superficie vitata. 

DIFFUSIONE

È coltivato quasi esclusivamente nelle quattro valli della provincia di Piacenza (Nure, Trebbia, d’Arda e Tidone), dove è il vitigno a bacca bianca maggiormente piantato. È contemplato come tipologia in purezza dalla Doc Colli Piacentini. Quasi assente nella provincia di Parma, ha invece una discreta diffusione nell’Oltrepò Pavese.

VINO

È vinificato nelle tipologie spumante, frizzante e fermo. Le prime due danno vini più briosi, spesso segnati da profumi fragranti e di corpo leggero con acidità sostenuta. La versione ferma, prodotta senza utilizzo di legno, è più strutturata e alcolica, dal sapore asciutto e sapido e di buona
e fresca aromaticità.

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