STORIA

Il caso del Greco – vitigno iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite dal 1970 – è sintomatico della confusione che per secoli ha caratterizzato l’ampelografia italiana. Si tratta dell’ennesimo vitigno importato in Campania da coloni greci provenienti dalla Tessaglia, forse da una città chiamata Aminaios. Solo nel 1909 – sulla base della forma inconfondibile dei suoi grappoli, che spesso sembrano doppi – Carlucci per primo avanza l’ipotesi che il Greco coltivato nella zona di Tufo discenda dall’Aminea gemina minor (o Aminea gemella) descritta dai georgici latini.

Nei secoli intercorsi tra i tempi di Virgilio e l’inizio del Novecento troviamo un numero sterminato di testimonianze sui luoghi di coltivazione del Greco e sulla bontà dei suoi vini. La confusione nasce dal fatto che, a eccezione di Latino poi rivelatosi errato in quanto riguarda il Fiano, non esistono per il Greco veri e propri sinonimi, ma sotto il suo nome sono catalogati un gran numero di vitigninche si differenziano solo per i toponimi di provenienza.

In realtà c’è anche un’altra varietà a bacca bianca inclusa nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite con il nome Greco: il Greco Bianco o Greco di Gerace calabrese.Inoltre è bene ricordare che durante il periodo della Repubblica di Venezia, per l’elevata popolarità raggiunta e per i prezzi di vendita molto remunerativi dei vini importati dall’Oriente, si sono improvvisati numerosi vini chiamati Greco, prodotti con i vitigni più disparati. A quell’epoca, per emulare i grandi passiti del Mediterraneo orientale, si è anche sviluppata in Italia una produzione di vini dolci che hanno preso ovunque il nome Greco, a volere definire con questa parola una tipologia di vino, senza prendere in considerazione i vitigni utilizzati per la produzione. A districarsi nel dedalo costituito dai Greco non aiutano le descrizioni ampelografiche alquanto superficiali fatte in passato. 

DIFFUSIONE

Il Greco è vitigno raccomandato in tutta la Campania e nelle province di Bari, Brindisi, Foggia, Taranto, Campobasso, Latina, Viterbo, Grosseto, Lucca, Massa-Carrara e La Spezia. La sua culla rimane la Campania.  Dopo millenni di coltivazione sul Vesuvio e nei Campi Flegrei, oggi si sta espandendo nell’Avellinese e nel Beneventano, verso l’interno della regione.

Sebbene meno utilizzato, rimane come vitigno complementare nelle Doc Capri Bianco, Penisola Sorrentina Bianco e Lacryma Christi del Vesuvio Bianco. Negli ultimi secoli è diventato molto presente nella valle del Sabato, a nord di Avellino, dove è contemplato dalla Docg Greco di Tufo.  Anche nel Beneventano è alla base di numerose Doc, quali Taburno, Sannio e Sant’Agata dei Goti.

VINO

Il Greco nelle sue terre d’elezione (Tufo e Santa Paolina) dà un bianco di straordinario carattere, di colore giallo dorato e dalla spiccata complessità olfattiva (mela cotogna e mandorla), certo meno armonico e raffinato del Fiano. E’ un vitigno difficile da vinificare e nelle produzioni contadine tende ad avere un’acidita volatile elevata e a imbrunire precocemente per l’ossidazione. La descrizione fatta da Manuela Piancastelli riassume tutte le caratteristiche del Greco di Tufo: un terroir particolare che restituisce a quest’uva e al vino profumi e caratteristiche del tutto peculiari. Rispetto al cugino Fiano, è ruvido e difficile, con minori profumi, più nervoso e difficile da interpretare. E’ come un ragazzo ostico, di poche parole ma pieno di qualità che molti, purtroppo, cercano di omologare dandogli forzatamente un’eleganza che non gli è propria.

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